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Chi ha un tumore può vaccinarsi?

C’è un’associazione tra vaccini e tumori? Non c’è alcuna evidenza scientifica che i vaccini possano indurre tumori. Al contrario è invece dimostrata un’associazione di tumori che colpiscono i linfociti B (Linfoma di Hodgkin, carcinoma naso faringeo) con l’infezione dal Virus di Epstein-Barr (il virus che causa anche la mononucleosi), come vi sono associazioni con altre infezioni virali quali ad esempio il sarcoma di Kaposi, associato ad infezione da virus erpetico umano ottavo (HHV-8), il virus dell’Epatite B con il tumore del fegato, il Papilloma Virus (HPV) per il tumore della cervice uterina.

I vaccini sono già stati utilizzati con successo per combattere i tumori: è il caso della vaccinazione antiepatite B che ha diminuito drasticamente in Italia e in Europa il numero dei morti per tumore al fegato e il vaccino contro il Papilloma Virus (anti HPV) che in alcuni paesi come l’Australia ha azzerato il numero di morti per carcinoma della cervice uterina.

In sostanza i vaccini sono un concreto aiuto per prevenire la patologia tumorale, ma non solo; la ricerca nell’ambito oncologico ha sviluppato, partendo dalla tecnica dei vaccini a mRNA, vaccini “terapeutici” per chi è affetto da determinati tumori. Sono vaccini che inducono risposte immunitarie specifiche e durature contro gli antigeni tumorali.  Tra i vaccini in sperimentazione vi sono quelli per il tumore della prostata, il tumore del polmone non a piccole cellule, alcune  tipologie di tumore al seno, quello per il colon-retto. E’ in fase avanzata il vaccino per il melanoma.

Ma torniamo ai vaccini preventivi, cioè quelli che utilizziamo normalmente per prevenire le malattie infettive. Una persona affetta da tumore li può ricevere? La risposta è complessa perché dipende da diversi fattori: il tipo di tumore, lo stadio in cui si trova, se si stanno effettuando terapie biologiche o la chemioterapia che può indurre immunosoppressione, il tipo di vaccino da somministrare. I pazienti oncologici spesso sono immunodepressi sia per effetto delle terapie che per effetto diretto del tumore sulle cellule immunitarie (come avviene ad. Es. nelle leucemie, nei linfomi). Sono conseguentemente maggiormente a rischio di sviluppare malattie infettive, anche se occorre tener presente che un vaccino, in caso di immunodepressione, potrebbe risultare poco efficace e potenzialmente in grado di scatenare la malattia che si vuol prevenire. Quindi le persone immunodepresse non dovrebbero ricevere vaccini a virus vivi attenuati (morbillo, rosolia, febbre gialla, tifo, varicella, parotite, polio orale), mentre possono ricevere gli altri vaccini, possibilmente lontano dai cicli di chemioterapia o prima dell’inizio della stessa.

Quali vaccini somministrare ad un paziente tumorale?

Vediamo le varie casistiche:

  • Terapia immunosoppressiva a lungo termine (>28 giorni)

I vaccini vivi devono essere somministrati almeno 4 settimane prima che inizi la terapia immunosoppressiva. I vaccini inattivati possono essere somministrati ma è opportuno che la loro somministrazione sia completata almeno 15 giorni prima dell’inizio della terapia immunosoppressiva.

Vaccini indicati: antipneumococco, influenza, covid-19, difterite tetano pertosse (se vaccinati da più di 10 anni).

  • Tumore solido maligno

Le vaccinazioni dovrebbero essere completate prima dell’inizio della chemioterapia, qualora possibile. Si consiglia la somministrazione 2 settimane prima per i vaccini inattivati. Spesso è opportuno vaccinare i contatti familiari del paziente per ridurre il rischio di trasmissione. In caso di grave neutropenia le persone in chemioterapia non possono ricevere alcun vaccino. Un ciclo vaccinale interrotto per l’inizio della chemioterapia va ripreso e completato dopo tre mesi dalla fine della stessa.

Vaccini indicati: antipneumococco, influenza, covid-19, difterite tetano pertosse (se vaccinati da più di 10 anni).

  • Tumori ematologici (leucemie, linfomi)

I pazienti affetti da neoplasie del sangue tendono ad essere maggiormente immunocompromessi di quelli con tumori solidi. Alcune neoplasie come i linfomi hanno un impatto sull’immunità che persiste anche dopo il trattamento. L’impiego del rituximab (ampiamento usato nelle neoplasie dei linfociti B) o di altri anticorpi determina una prolungata riduzione dei linfociti B con conseguente deficit della risposta immunitaria che può protrarsi anche per 2 anni dal termine del trattamento immunochemioterapico.

È controindicata la somministrazione di vaccini vivi. Vaccini inattivati, ricombinanti, a subunità, polisaccaridici, coniugati e tossoidi possono essere somministrati regolarmente secondo il normale calendario ma la risposta può non essere ottimale. Tutti i vaccini possono essere somministrati al ripristino dell’immunocompetenza a remissione di malattia, dopo 3 mesi dalla sospensione della chemioterapia e della radioterapia o 6 mesi in caso di somministrazione di anticorpi anti linfociti B (es. rituximab).

I soggetti con Linfoma di Hodgkin e Linfomi non Hodgkin hanno un aumentato rischio di infezione invasiva da pneumococco, di influenza ed herpes zoster.

Vaccini indicati: Pneumococco, Meningococco B e Meningococco ACWY e Haemophilus influenza B, influenza, covid-19, difterite tetano pertosse.

  • Trapianto eterologo di cellule staminali ematopoietiche (HSCT)

Nelle malattie oncologiche del sangue una delle opzioni terapeutiche è il trapianto di midollo. I riceventi il trapianto devono essere considerati “mai immunizzati” e richiedono una reimmunizzazione dopo il trapianto. In sostanza sono da considerare come mai vaccinati. Alcune malattie prevenibili con vaccino comportano un aumento del rischio nei trapiantati (es., pneumococco, Haemophilus influenzae di tipo b, morbillo, varicella e influenza). Per questo le persone trapiantate devono eseguire le vaccinazioni necessarie come parte della normale terapia post-trapianto.

Le persone in attesa di trapianto di midollo non dovrebbero ricevere vaccini vivi. Nei soggetti sottoposti a trapianto allogenico (da donatore) di cellule staminali, il vaccino MPR si può fare trascorsi 2 anni dal trapianto, a meno che non siano in terapia immunosoppressiva per prevenire la reazione tra cellule del donatore e del ricevente (GVHD).

È indicata la ripetizione di un nuovo ciclo primario con difterite, tetano, pertosse, epatite B, polio dopo 6-12 mesi dal trapianto. Indicate anche pneumococco, meningococco ACWY, meningococco B, covid-19, herpes zoster (inattivato), haemophilus, influenza.

Per proteggere i pazienti è consigliata la vaccinazione dei famigliari e del personale di assistenza.

Anche nel trapianto autologo (trapianto in cui il paziente riceve le proprie cellule staminali) la malattia di base e le alte dosi di chemio e radioterapia somministrate pre-trapianto sono i fattori che contribuiscono allo stato di immunosoppressione e che determinano la perdita dell’immunità precedentemente acquisita. Il recupero della capacità immunitaria è più veloce nel trapianto autologo rispetto al trapianto allogenico non essendovi la riduzione dell’attività immunitaria legata alla reattività biologica tra donatore e ricevente (GVHD) e alla terapia immunosoppressiva somministrata dopo un trapianto per prevenire e trattare la GVHD. Anche in questo caso il paziente deve essere adeguatamente rivaccinato.

Va sicuramente sollecitata l’attenzione verso le vaccinazioni nei pazienti oncologici perché spesso la paura di reazioni al vaccino condiziona la scelta di vaccinarsi o meno. In realtà, se le vaccinazioni vengono somministrate rispettando i criteri descritti, arrecano un beneficio enorme ai pazienti evitando malattie che potrebbero mettere a rischio la vita e che, se contratte, potrebbero pregiudicare eventuali ulteriori terapie oncologiche.

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